Il coniuge che preleva dal conto corrente cointestato delle somme per sé quando ormai il rapporto di coppia è in crisi conclamata è tenuto a restituirli all’altro.
È ciò che ha affermato il Tribunale di Roma, decidendo sulla domanda di un marito che chiedeva alla moglie la restituzione di ben 102mila euro, che la stessa aveva prelevato dal conto cointestato (ma alimentato solo con i redditi di lui) in prossimità della separazione per acquistare l’ennesima autovettura, per circoli sportivi, per donne di servizio e per l’assicurazione di 5 macchine.
La convenuta aveva tentato di contrastare la domanda del marito sostenendo trattarsi: 1) di somme impiegate per l’adempimento di obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia; 2) di somme di proprietà di entrambi i coniugi; 3) di somme messe a disposizione per spirito di liberalità.
Il Giudice tuttavia ha ritenuto infondate tutte le tesi prospettate ritenendole non dimostrate.
Nonostante l’art. 191 codice civile escluda l’obbligo restitutorio in favore della comunione legale delle somme che il coniuge prelevi dal patrimonio comune solo se le stesse vengano impiegate per adempiere le obbligazioni contratte per il mantenimento della famiglia o comunque nel suo interesse o per l’istruzione e l’educazione dei figli (art. 186 codice civile), nel caso di specie il Tribunale ha rilevato che mancava del tutto la prova che le somme prelevate dalla donna erano state reimpiegate per necessità familiari ed, anzi, in corso di causa era emerso che le stesse erano state utilizzate per fini personali e del tutto diversi.
È stato altresì osservato che la moglie non aveva offerto alcuna prova che sul conto confluissero anche somme riferibili alla medesima.
Infine, il Tribunale ha escluso che la messa a disposizione da parte del marito delle somme versate sul conto corrente cointestato potesse essere ricondotto ad un suo spirito di liberalità, poiché la donna non aveva offerto in giudizio né alcuna più precisa deduzione né alcuna prova.
Sul punto si è precisato che la cointestazione con firma e disponibilità disgiunte di una somma di denaro appartenente ad uno solo dei cointestatari (come avvenuto nella fattispecie) costituisce donazione diretta solo se viene riscontrata l’effettiva esistenza dell’animus donandi; e ciò vale solo per il denaro versato prima della cointestazione, mentre per le somme versate in seguito la donazione indiretta è preclusa dal divieto di donazione di beni futuri.
Nondimeno, si è puntualizzato che la mera esistenza del vincolo coniugale non permette di ritenere che la cointestazione del conto persegua il solo scopo di liberalità: spesso, infatti, essa trova fondamento esclusivamente in esigenze di carattere pratico e di migliore gestione del ménage familiare.
Tribunale di Roma, 06.06.2017, n. 11451
Tribunale di Roma, 06-06-2017, n-11451