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Nessun assegno divorzile all’ex coniuge in sede di revisione dopo 20 anni dal divorzio

Secondo la Cassazione, va respinta la domanda di assegno formulata dall’ex coniuge in sede di revisione delle condizioni di divorzio proposta dopo 20 anni se risulta che lo stesso è economicamente autosufficiente.

Nel caso esaminato, la Corte d’Appello di Firenze, in accoglimento del reclamo proposto dal marito, aveva rigettato la domanda con cui la ex moglie aveva chiesto, a modifica delle condizioni della sentenza di divorzio, il riconoscimento di un assegno. Dopo aver posto in evidenza che la convivenza, cessata di fatto alla fine del 1982, era durata per soli due anni (essendo il matrimonio stato celebrato nell’estate del 1980) e che in epoca successiva le parti avevano avuto autonome vicende economiche e sentimentali, i giudici d’appello avevano ritenuto inammissibile la richiesta di riconoscimento dell’assegno, avanzata dalla donna dopo circa trent’anni (agosto 2012), in quanto la situazione patrimoniale della stessa era ricollegabile a scelte da lei fatte in epoca successiva; sicché non era ravvisabile il nesso causale tra l’unione coniugale e l’attuale condizione economica della donna.

Avverso tale provvedimento della Corte d’Appella la ex moglie ha proposto ricorso in Cassazione.

La Corte ha affermato di dover applicare – anche al caso di specie – i recenti principi sanciti in tema di assegno divorzile.

In particolare, ha ricordato che al fine di attribuire in capo al coniuge il diritto all’assegno divorzile, deve essere effettuata una verifica giudiziale in ordine alla sussistenza della debenza dell’assegno e, solo a seguito di un accertamento positivo, della sua quantificazione.

Nella prima fase (accertamento dell’an debatur) il Giudice dovrà valutare se la domanda dell’ex coniuge soddisfi le condizioni di legge ed, in particolare, la mancanza di mezzi adeguati o comunque l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; parametri che dovranno essere parametrati non già (e non più) al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma l’indipendenza o autosufficienza economica del coniuge medesimo.

Nella seconda fase (accertamento del quantum debeatur) andranno valutate le singole allegazioni, seguendo i principi dell’onere della prova, con riferimento alle condizioni del coniuge, alle ragioni della decisione, al reddito di entrambi anche in rapporto con la durata del matrimonio.

Nel caso di specie, la Corte ha rigettato il ricorso, rilevando che – sulla base dei citati criteri valutativi – il matrimonio aveva avuto breve durata; la donna non aveva chiesto nemmeno in sede di separazione e di divorzio un contributo al mantenimento, formulando la richiesta per la prima volta dopo 30 anni; la condizione di necessita in cui versava la donna dipendeva da scelte economiche dalla medesima fatte dopo la cessazione dell’unione tra i coniugi.

Cassazione Civile, 25.10.2017, n. 25327

Cassazione Civile, 25-10-2017, n. 25327