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Mancata diagnosi di malformazione del feto: risarcita la madre per perdita di chance

In tema di responsabilità medica, qualora la madre non venga avvertita circa la sussistenza di una malformazione del feto, ha diritto al risarcimento del danno per perdita di chance.

Lo ha sancito la Corte di Cassazione in un caso in cui due genitori avevano convenuto in giudizio l’azienda ospedaliera per ottenere il risarcimento dei danni, lamentando che alla ventunesima settimana di gestazione la madre si era sottoposta ad ecografia da parte di uno specialista di ostetricia e ginecologia dell’ospedale convenuto e che in detta sede non era stata diagnosticata una malformazione del feto: il figlio è nato in seguito affetto da patologie agli arti superiori (entrambi mancanti) di gravità tale da determinarne una invalidità totale e permanente al 100%. Ad avviso dei genitori, la mancata individuazione della malformazione presenti nel feto al momento dell’ecografia, e la conseguente, omessa informazione, avevano impedito loro di esercitare il diritto, riconosciuto alla madre dalla L. n. 194 del 1978, art. 6, di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza, con gravissime conseguenze per essi sul piano psichico e della qualità di vita.

Il Tribunale aveva riconosciuto un diritto al risarcimento del danno per entrambi i genitori, compreso il danno della madre da perdita di chance, ovvero la perdita “della possibilità di valutare le due alternative oggettivamente possibili e di scegliere liberamente quella, comunque dolorosa, ma meno grave”.

La sentenza era stata riformata in secondo grado, avendo la Corte d’Appello escluso tale ultima voce di danno, ritenendo, tra l’altro, che la malformazione da cui è risultato affetto il figlio – inducente rilevanti limitazioni allo svolgimento di alcune attività pratiche, ma non incidente sull’espletamento di attività fisica e soprattutto psichiche – non sarebbe risultato di gravità tale da consentire di ritenere mediante il ricorso a presunzioni che la madre, pur informata, avrebbe potuto decidere di interrompere la gravidanza.

I genitori sono ricorsi in cassazione avverso detta sentenza e la Corte ha ritenuto le loro doglianze fondate.

Si è ricordato, infatti, che l’interruzione di gravidanza dopo i primi novanta giorni, ai sensi della legge n. 194/1978, è possibile in maniera eccezionale in caso di anomalie o malformazioni rilevanti del nascituro tali da poter rappresentare “un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. Ad avviso della Corte tali anomalie, sussistono sicuramente nel caso in cui il piccolo sia privo di entrambi gli arti superiori, senza che possa addursi – in senso contrario – la circostanza che la malformazione non sarebbe grave in quanto non inciderebbe sull’espletamento di attività fisiche e soprattutto psichiche da parte del bambino. Infatti, si legge nella pronuncia, secondo il dettato normativo per poter esercitare il diritto all’interruzione della gravidanza non è necessario né che ci si trovi di fronte a una malformazione grave, né che questa affligga le capacità intellettive del piccolo.

In ordine all’onere della prova, si è altresì affermato che il giudice, nel valutare la sussistenza di una responsabilità medica da nascita indesiderata, deve considerare – sul piano probabilistico e tenendo conto delle prove offerte – se l’operato dei sanitari (ed in particolare la mancata informazione circa la malformazione del feto) abbia leso il diritto della madre di scegliere se interrompere o meno la gravidanza.

L’onere della prova dell’eventuale esercizio di tale facoltà grava in capo al genitore che agisce per il risarcimento del danno, il quale può assolverlo tramite presunzioni “… in base ad inferenze … quali il ricorso al consulto medico funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva“. Grava, invece, sul medico la prova contraria, ossia che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale.

La Corte ha dunque accolto il ricorso dei due genitori.

Cassazione Civile, 31.10.2017, n. 25849

Cassazione Civile, 31-10-2017, n. 25849