Il giudice chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale concepito mediante surrogazione di maternità (comunemente detta anche “utero in affitto”) è sempre tenuto a valutare comparativamente l’interesse alla verità e l’interesse del minore.
Per la prima volta la Corte costituzionale si è pronunciata su un caso di maternità surrogata.
Il caso esaminato riguardava una coppia di fatto eterosessuale milanese, che nel 2012 era andata in India per avere un figlio. La futura mamma italiana aveva avuto un tumore e si era dovuta sottoporre a una chemioterapia che le impediva sia di concepire figli che di portare avanti una gravidanza. La coppia aveva quindi cercato una madre surrogata che portasse avanti la gestazione (l’India ha successivamente vietato l’accesso a questa pratica agli stranieri) e il bambino era stato concepito con il seme del futuro padre e l’ovulo di una donatrice.
Tornati in Italia i due avevano poi chiesto la trascrizione dell’atto di nascita del piccolo che, secondo la prassi indiana, indicava la coppia italiana come genitori. Trascrizione immediatamente sospesa dall’Ufficio dello stato civile di Milano, che aveva segnalato alla Procura della Repubblica il sospetto che il bimbo fosse nato con la maternità surrogata. Tale circostanza era stata ammessa dai genitori durante le indagini della Procura presso il Tribunale per i minorenni.
A quel punto, da un lato, il Pubblico Ministero aveva chiesto di togliere il bambino alla coppia milanese e di darlo in adozione e, dall’altro lato, i genitori avevano nuovamente chiesto la trascrizione del certificato, ottenendola. Sei mesi dopo il Tribunale dei minorenni aveva dichiarato il bimbo non adottabile perché intanto il test del Dna aveva confermato che l’uomo era il padre genetico del bambino.
Il curatore nominato per il bimbo aveva chiesto di disconoscere la madre, priva di legami biologici con il piccolo. Nel 2014 il Tribunale di Milano aveva accolto la richiesta del curatore e stabilito che il bimbo non era figlio della donna, che nel frattempo lo aveva cresciuto, in quanto la legge italiana lega la maternità al parto.
La donna aveva pertanto impugnato detta decisione e la Corte d’Appello di Milano nel 2016 ha sollevato questione di costituzionalità in relazione all’art. 263 c.c. (che disciplina l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità del figlio minorenne), poiché – a dire della madre e del curatore speciale del minore – detta norma sarebbe portatrice di un automatico disconoscimento della genitorialità qualora mancassero legami biologici con il bambino.
La Corte Costituzionale, tuttavia, ha respinto la tesi avanzata dichiarando la questione «non fondata» poiché la norma recita che «il riconoscimento può essere impugnato», non “deve”.
Contemporaneamente, però, i giudici hanno anche ampiamente argomentato la necessità che in questi casi sia sempre valutato e privilegiato il miglior interesse del piccolo: la Consulta ha dunque stabilito che «non è costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore» (e quindi non è possibile togliere automaticamente i figli ai genitori che li hanno avuti con la surrogata), ma che neppure questi possano essere altrettanto automaticamente lasciati con loro, ma che per ogni caso il Tribunale dei minori della valutare, con «un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore».
Tra le variabili di cui tener conto – scrive la Consulta – «oltre alla durata del rapporto con il minore e, quindi, alla condizione identitaria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza le modalità del concepimento e della gestazione» e la possibilità per il genitore sociale di stabilire, mediante l’adozione in casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un’adeguata tutela. Secondo i giudici costituzionali, inoltre nella valutazione comparativa rimessa al giudice rientra anche la considerazione negativa che ha nel nostro ordinamento la surrogazione di maternità, che — affermano — «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane».
L’esame della fattispecie concreta è ritornata dunque sui banchi della Corte d’Appello di Milano.
Corte Costituzionale, 18.12.2017, n. 272
Corte Costituzionale, 18-12-2017, n. 272