Non spetta alcun aumento dell’assegno di divorzio all’ex coniuge che, per libera scelta e senza alcuna costrizione, ha deciso di rinunciare ad una carriera promettente, di accettare un lavoro part-time e poi di licenziarsi.
La Corte di Cassazione ha precisato detto principio, rigettando il ricorso di una donna che aveva adito il Tribunale per ottenere l’aumento dell’assegno divorzile dovutole dall’ex marito a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio: nello specifico ella aveva chiesto che il contributo venisse maggiorato da euro 800 ad 3.800 euro o, addirittura – ove non le fosse assegnata la casa coniugale – ad euro 5.800.
Il Tribunale aveva deciso, non solo, di non assegnarle la casa coniugale (dal momento che l’unico figlio della coppia era maggiorenne e dimorava presso il padre), ma anche di rigettare la richiesta di aumento dell’assegno, essendo la ricorrente proprietaria di un appartamento da cui percepiva un canone locazione, oltre che di un terreno, e beneficiaria di reddito attività lavorativa svolta in una società.
La Corte d’Appello aveva confermato la sentenza del Tribunale e così pure la Cassazione ha condiviso la decisione del giudice di secondo grado, evidenziando come quest’ultimo avesse confermato l’originario importo dell’assegno tenendo correttamente conto della breve durata della convivenza matrimoniale (circa sei anni) nonché delle condizioni personali ed economiche della ex coniuge (abilitata all’esercizio della professione forense e proprietaria di immobili). Parimenti – ritiene la Suprema Corte – si era correttamente tenuto conto delle libere scelte di vita della donna di rinunciare ad una carriera promettente, di accettare un posto lavoro part-time fino poi a dimettersi dal lavoro all’età di 46 anni senza che vi fosse prova di alcuna costrizione al riguardo, né di tentativi di riprendere l’attività lavorativa.
Sulla scia dell’orientamento di legittimità che si sta consolidando negli ultimi mesi, la Cassazione ha altresì ribadito che la conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, richiamata dalla ricorrente, non rappresenta più un parametro di riferimento utilizzabile ai fini del riconoscimento di un assegno di divorzio al coniuge.
A giustificare l’attribuzione dell’assegno non è, di per sé, lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all’epoca del divorzio, né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente, ma la mancanza dell’indipendenza o autosufficienza economica, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa; tale parametro deve essere apprezzato con necessaria elasticità, tenendo conto dei bisogni del richiedente l’assegno come persona singola, e non come ex coniuge, pur sempre inserita in un determinato contesto sociale.
Altresì, per determinare la soglia dell’indipendenza economica, deve farsi riferimento alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva; pertanto essa, da un lato, non potrà essere bloccata alla soglia della pura sopravvivenza e, dall’altro, nemmeno potrà eccedere il livello della normalità.
Cassazione Civile, 07.02.2018, n. 3015
Cassazione Civile, 07-02-2018, n. 3015