L’intervento di sostegno da parte dei servizi sociali può permettere una valutazione positiva delle capacità genitoriali sostitutive da parte del parente stretto, sì da far venir meno lo stato di abbandono del minore e la conseguente adottabilità dello stesso.
È quanto recentemente stabilito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 3915 del 16.02.2018, qui allegata.
In particolare, nella fattispecie in esame il Tribunale per i minorenni de L’Aquila, dopo l’affidamento ai servizi sociali ed il collocamento in una casa famiglia, aveva dichiarato con sentenza lo stato di abbandono e adottabilità di un minore in ragione delle disagiate condizioni familiare della famiglia d’origine: la madre, affetta da deficit cognitivo grave, non si era neppure accorta della gravidanza e nutriva forti difficoltà relazionali con il figlio dettate dalla mancanza di affetto ed emotività nei confronti dello stesso; i nonni, anziani e disoccupati, anche loro affetti da deficit cognitivi, apparivano disinteressati al nipote e del tutto inaffidabili. Lo zio ventiquattrenne, unico componente familiare con quoziente intellettivo nella norma, appariva tuttavia immaturo ed instabile, troppo impegnato al lavoro per supplire alla esigenze del nipote.
Avverso tale decisione, avevano proposto appello la madre, i nonni e lo zio, i quali si sono visti rigettare il gravame dalla Corte dì’appello che, allineandosi alle valutazioni proposte dal Tribunale, aveva escluso che la situazione potesse evolversi favorevolmente nel tempo e garantire al bambino una sana ed equilibrata crescita.
Ancora una volta, i nonni e lo zio hanno impugnato tale ultima sentenza, proponendo ricorso avanti alla Corte di Cassazione sulla base di tre motivi: a) lo stato di abbandono sarebbe stato dichiarato senza un previo e concreto accertamento della carenza di cure materiali e morali da parte del nucleo familiare; b) considerato l’aiuto degli assistenti sociali, non si sarebbe verificata l’impossibilità di assunzione di un ruolo genitoriale sostitutivo da parte dell’intera famiglia d’origine, in particolare dello zio, giovane e privo di deficit cognitivi; c) lo stato di abbandono sarebbe stato dichiarato anche in presenza di una concreta diponibilità dei servizi sociali a coadiuvare lo zio nella definizione del proprio ruolo genitoriale sostitutivo.
La Suprema Corte ha preliminarmente ribadito che, essendo la famiglia d’origine l’ambiente più idoneo allo sviluppo psicofisico del minore, “il giudice di merito deve, prioritariamente, verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo ove risulti impossibile, anche in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali (…), è legittimo e corretto l’accertamento dello stato di abbandono”.
Premesso ciò, nel caso esaminato, la Corte ha affermato che l’esito negativo raggiunto dalla Corte d’appello in merito all’idoneità dei nonni ad assecondare le esigenze del minore si era fondato su un ragionamento corretto; diversamente, secondo la Suprema Corte, non è stata oggettivamente valutata la figura dello zio, anche in relazione al sostegno concretamente garantito dai servizi sociali finalizzato a supportare il parente nell’adempimento degli oneri genitoriali: nello specifico la Corte ha affermato che la valutazione delle capacità genitoriali dello zio non poteva essere solamente ancorata alla sua condizione di lavoratore dipendente, “senza considerare se, agevolato anche in un contesto di sostegno pubblico, egli (…) possa costituire per il piccolo la figura dominante ora mancante e assicurare al bambino una cura ed una protezione adeguate alla sua capacità di crescita”.
In conclusione, la Suprema Corte, in considerazione dei diritti personalissimi coinvolti e del principio secondo cui l’adozione ultrafamiliare deve considerarsi come approdo estremo, pur respingendo il ricorso dei nonni, ha accolto quello dello zio.
Cassazione civile 16.02.2018 n. 3915
Cassazione Civile, 16-02-2018, n. 3915