Il fallito che si ritiene danneggiato dall’attività del curatore durante la procedura fallimentare, non può, dopo essere tornato nel pieno della sua capacità, pretendere di rimettere in discussione l’attività di riparto dell’attivo conclusa da anni
La Cassazione ha recentemente espresso tale principio in una controversia che traeva origine nel corso del fallimento di una impresa individuale di costruzioni, che vantava un credito nei confronti di un Comune in dissesto finanziario; nello specifico, nell’ambito del fallimento, nonostante il parere contrario del fallito, la curatela aveva accettato una transazione con il Comune debitore che riduceva il credito originario.
Il fallito aveva dunque convenuto in giudizio la curatela ed il Comune, al fine di ottenere l’annullamento o la risoluzione della transazione stipulata., tuttavia il Tribunale aveva dichiarato il difetto di legittimazione del fallito.
Nel frattempo il fallimento era stato chiuso ed il titolare dell’impresa individuale, tornato in bonis, aveva adito nuovamente il Tribunale al fine di ottenere l’annullamento della transazione: sia il Tribunale sia la Corte d’Appello avevano rigettavato la domanda dell’attore.
Quest’ultimo, pertanto, si è rivolto alla Cassazione, la quale ha ritenuto che le doglianze formulate fossero inammissibili nel giudizio di legittimità, in quanto tutte afferenti questioni di stretto merito.
Nelle conclusioni della sentenza, tuttavia, la Suprema Corte ha evidenziato che non sono proponibili, per difetto di legittimatio ad causam, le domande dell’impresa individuale volte ad annullare la transazione conclusa dal curatore e ciò in quanto deve negarsi al debitore, tornato in bonis, dopo la conclusione del fallimento, «di rimettere in discussione, con effetti reali, l’operato degli organi della procedura ed in particolare del curatore, che è un organo del tutto peculiare», giacché quest’ultimo «cumula la rappresentanza insieme del fallito e della massa, di talché non è in definitiva riconducibile né all’uno né all’altra».
La Suprema Corte, comunque, ha aggiunto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, vige nel nostro ordinamento «il principio di intangibilità delle attribuzioni patrimoniali effettuate a favore dei creditori in base al piano di riparto», pertanto il fallito che si ritenga danneggiato dall’attività del curatore può, dopo essere tornato in bonis, «attivare la sola tutela risarcitoria e non pretendere di rimettere in discussione l’intangibile e conclusa da anni attività di riparto dell’attivo».
La Cassazione ha dunque rigettato il ricorso proposto.
Cassazione Civile, 19.06.2018, n. 16132
Cassazione Civile, 19-06-2018, n. 16132