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Revocatoria ordinaria: non serve la totale compromissione del patrimonio

Ai fini dell’accoglimento di una azione revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 2901 c.c., non è richiesta la totale compromissione del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito; lo stesso può consistere, non solo in una variazione quantitativa del patrimonio, ma anche in una variazione qualitativa.

Detto pacifico indirizzo interpretativo è stato confermato dalla Cassazione con la sentenza n. 30188 depositata il 22 novembre scorso.

Nella fattispecie, una moglie aveva adito il Tribunale di Verona esponendo di vantare un credito per assegni di mantenimento nei confronti del coniuge separato e rilevando, altresì, che costui aveva alienato alcune quote di beni immobili a favore del di lui fratello; ella aveva pertanto promosso azione revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 2901 c.c. nei confronti di entrambi i fratelli, sul presupposto che gli atti di cessione posti in essere fossero volti unicamente a sottrarre garanzia patrimoniale al credito alimentare dalla medesima vantato. Il marito si era costituito in giudizio affermando la legittimità delle menzionate cessioni, che – a suo dire – sarebbero state necessarie a consentirgli di reperire liquidità per acquistare una nuova sistemazione.

Il Tribunale, tuttavia, aveva accolto la domanda formulata dalla donna e detta decisione era stata confermata dalla Corte d’Appello.

Quest’ultima aveva rilevato che, da un lato, nel giudizio di primo grado era stato accertato che la vendita era avvenuta a prezzo decisamente inferiore rispetto al valore di quotazione e, dall’altro lato, che a fondamento dell’azione revocatoria ordinaria non è richiesta la totale compromissione del patrimonio, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio ma anche in una variazione qualitativa dello stesso.

A tale ultimo riguardo aveva osservato che, nel caso di specie, il nuovo bene acquistato dall’ex marito fosse di valore assai inferiore rispetto al ricavato della vendita – circostanza che attestava la riduzione del patrimonio – e che la rimanente parte del patrimonio era esigua e non idonea a garantire il credito alimentare.

Il marito è pertanto ricorso alla Cassazione, la quale ha ritenuto correttamente sviluppato il ragionamento della Corte d’Appello.

Nella decisione, si è anche ribadito che la c.d. “participatio fraudis” del terzo, ossia la conoscenza da parte di questi della dolosa preordinazione dell’alienazione ad opera del disponente rispetto al credito futuro, può essere accertata anche mediante ricorso a presunzioni, con un apprezzamento riservato al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato.

Nel caso specifico, la Suprema Corte ha ritenuto corretto il percorso motivazionale seguito dalla Corte d’Appello, che aveva individuato la “participatio fraudis nella relazione parentale tra acquirente e venditore, nonché nella conoscenza da parte dell’acquirente delle ragioni che avevano portato il venditore a cedere l’immobile.

Alla luce di tali osservazioni, il ricorso è stato rigettato ed è stata confermata la sentenza d’appello impugnata.

Cassazione Civile, 22.11.2018, n. 30188

Cassazione Civile, 22-11-2018, n. 30188