Le dichiarazioni dei redditi del professionista, poiché di natura autodichiarativa, vanno valutate con ragionevole prudenza ed, ai fini della quantificazione dell’assegno per i figli, si fa riferimento alla media reddituale netta, essendo gli introiti professionali suscettibili di incremento.
È quanto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 5449 del 25.02.2019 in un caso in cui la Corte d’Appello aveva rigettato il ricorso di un padre, giovane avvocato amministrativista, che aveva chiesto la riduzione dell’assegno di mantenimento per i figli di € 1000,00 mensili, così come stabilito dal Tribunale.
In particolare la Corte d’Appello aveva confermato tale importo sulla base della media reddituale netta dei redditi del professionista, così come emersi dalle dichiarazioni dei redditi prodotte, considerando altresì l’assegno di mantenimento di altro figlio, avuto con altra donna, a cui l’uomo doveva far fronte.
Il professionista ha presentato ricorso in Cassazione avverso la predetta sentenza evidenziando l’erroneità dei dati probatori sulla base dei quali la Corte d’Appello aveva calcolato il quantum dell’assegno; a detta del ricorrente la moglie avrebbe goduto di un ingente patrimonio immobiliare, a differenza del marito costretto a far fronte a rilevanti costi di gestione e locazione dello Studio Legale di cui risultava titolare.
La Corte di Cassazione, evidenziando che “la caratteristica precipua del reddito dei liberi professionisti è che questo sarebbe passibile di continuo incremento ed evoluzione”, ha considerato le conclusioni a cui era pervenuta la Corte d’Appello prive di anomalie motivazionali e dunque coerenti ai principi che regolano la determinazione dell’importo dell’assegno di mantenimento a favore dei figli.
La Suprema Corte ha dunque rigettato il ricorso del padre e confermato l’assegno di mantenimento a suo carico.
Cassazione Civile, 25.02.2019, n. 5449
Cassazione Civile, 25-02-2019, n. 5449