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La convivenza non giustifica la sussistenza dell’animus donandi

La convivenza, per sé stessa, non è elemento idoneo a giustificare il maggiore apporto nell’acquisto di un immobile sostenuto da uno dei conviventi nei confronti dell’altro per spirito di liberalità, dovendo essere provato l’animus donandi.

E’ quanto precisato dalla Suprema Corte, con una recente ordinanza, in una causa avente ad oggetto la divisione di un immobile comune tra due ex conviventi.

Nel caso esaminato, la Corte d’appello di Milano aveva rigettato l’appello di un uomo che pretendeva che nella determinazione delle quote dell’immobile acquistato insieme alla sua ex convivente, si tenesse conto del diverso e maggiore apporto da lui fornito per l’acquisto.

La Corte milanese aveva affermato che qualora gli oneri dell’acquisto siano stati sostenuti in modo maggiore da uno degli acquirenti, la parte “eccedente” la sua quota deve ritenersi compiuta a titolo di liberalità nei confronti del co-acquirente in ragione della situazione di lunga convivenza tra le parti.

Avverso tale sentenza, l’uomo ha proposto ricorso per cassazione.

La Suprema Corte ha rilevato come la Corte d’appello non avesse considerato che l’animus donandi debba essere provato e la prova può essere data anche per presunzioni, ma deve trattarsi di presunzioni “serie”, in base ad un rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso, non potendo ritenersi di per sé la convivenza circostanza giustificatrice di un atto di liberalità.

Pertanto, la Cassazione ha cassato la sentenza e rinviato ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà a un nuovo esame attenendosi a quanto enunciato dalla Suprema Corte.

Cassazione Civile, 14.07.2021, n. 20062

Cassazione Civile, 14.07.2021, n. 20062