Sulla scia di quanto già previsto per l’assegno di divorzio, anche per la quantificazione dell’assegno di mantenimento riconosciuto in sede di separazione non rileva più il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio dai coniugi.
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza dello scorso 15 ottobre, ha esteso in via analogica all’assegno di mantenimento riconosciuto in sede di separazione quanto stabilito dalle Sezioni Unite con sentenza 18287/2018 in ordine all’assegno divorzile.
Nel caso di specie, la moglie aveva presentato ricorso per separazione giudiziale nei confronti del marito avanti al Tribunale di Padova, il quale, nella contumacia del marito, aveva accolto la domanda di separazione della donna senza imporre alcun assegno di mantenimento in suo favore stante l’autosufficienza economica dei coniugi.
Il marito aveva impugnato la predetta sentenza avanti alla Corte d’Appello rilevando, da un lato, la nullità del procedimento per mancata notifica al resistente della fissazione dell’udienza di comparizione dei coniugi e, dall’altro, l’accertamento della intollerabilità della prosecuzione della convivenza sulla base delle sole dichiarazioni della moglie. La Corte d’Appello aveva ritenuto infondata la richiesta di accertare la non irreversibilità della crisi coniugale e aveva altresì imposto alla moglie l’obbligo di versare al marito un assegno di mantenimento mensile di € 1.500,00.
Quest’ultimo ha presentato ricorso in Cassazione lamentando, tra gli altri, come il Giudice di secondo grado non potesse dichiarare la separazione in difetto di prova della irreversibilità della crisi, nonché l’esiguità dell’importo riconosciutogli a titolo di mantenimento, stante le facoltose risorse economiche della moglie ed il tenore di vita mantenuto in costanza di matrimonio.
Sotto il primo profilo la Suprema Corte ha evidenziato come l’intollerabilità della convivenza debba essere intesa in senso soggettivo, non essendo necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, potendo la frattura dipendere dalla disaffezione e dal distacco di uno solo di essi.
Sotto il secondo profilo, invece, pur nell’ambito di un giudizio di separazione, la Cassazione ha applicato in via analogica quanto affermato dal più recente orientamento interpretativo in materia di divorzio, secondo il quale – come noto – al fine di riconoscere il diritto all’assegno divorzile a nulla rileva il tenore di vita goduto durante il matrimonio (Cass. Civ. S.U. n. 18287 dell’11.07.2018).
Nella decisione in esame la Suprema Corte ha ribadito che “la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.
Nella fattispecie esaminata, la Corte dunque ha respinto il ricorso dell’uomo ritenendo priva di rilevanza la sua richiesta di provare l’alto tenore di vita manente matrimonio e confermando l’importo di € 1.500,00 da versare al richiedente a titolo di assegno di mantenimento, considerato che: a) la funzione assistenziale era stata ampiamente soddisfatta dalla misura dell’assegno; b) il marito non aveva dato prova del proprio contributo alla formazione del patrimonio familiare.
Cassazione Civile, 15.10.2019, n. 26084
Cassazione Civile,15-10-2019, n. 26084