Con la sentenza n. 16002 del 17.10.2018 la Corte di Cassazione si è occupata della questione se gli accordi stipulati nel piano di concordato preventivo omologato, non risolto né annullato, cui segua la dichiarazione di fallimento, restino fermi e, dunque, il credito ammissibile al fallimento sia quello originario (per l’intero) o quello soggetto alla falcidia concordataria: e la Corte ha optato per la prima soluzione.
Nel caso esaminato, il Tribunale di Nola aveva rigettato il gravame di un creditore avverso il provvedimento con il quale il Giudice Delegato aveva ammesso un proprio credito al passivo del Fallimento di una società nella limitata misura risultante dall’applicazione della falcidia concordataria, ritenuta vincolante per i creditori in ragione, da un lato, dell’omologazione del concordato preventivo e, dall’altro lato, della mancata risoluzione dello stesso.
La Corte ha preliminarmente evidenziato che, in virtù dell’eliminazione «di ogni automatismo tra la risoluzione del concordato e fallimento», nel momento in cui il fallimento interviene successivamente all’omologazione del concordato preventivo, il creditore deve chiedere la risoluzione del concordato per ottenere la liquidazione del credito nella misura originaria.
Tuttavia, ad avviso della Cassazione, detto principio non deve imporre ai creditori di dover sopportare gli effetti del piano concordato a causa dell’omessa risoluzione e della realizzazione di un evento intervenuto medio tempore, come appunto il fallimento. Infatti, in tali evenienze, il concordato non può più produrre effetti, giacché il relativo programma diventa ineseguibile, con la conseguenza che la falcidia creditoria non è più giustificata ed i crediti vengono pertanto quantificati nell’entità originaria.
Cassazione Civile, 17.10.2018, n. 16002
Cassazione Civile, 17-10-2018, n. 26002