Nel caso in cui un la casa familiare sia stata assegnata, in sede di divorzio o di separazione, ad uno dei coniugi e venga poi acquistata da un terzo, questi ha diritto di agire giudizialmente al fine di accertare l’intervenuta decadenza dei presupposti per l’assegnazione e per ottenere la condanna al pagamento di un’indennità per l’indebita occupazione.
Questo è il principio di diritto ribadito dalla Suprema Corte in un caso sorto ancor nel 2004, quando il terzo acquirente di un immobile aveva convenuto in giudizio due coniugi chiedendo che la moglie fosse dichiarata occupante senza titolo dell’immobile in oggetto, già casa coniugale in comproprietà tra i coniugi stessi, e chiedendo la condanna dei medesimi al pagamento di talune somme di denaro, tra le quali un’indennità per indebita occupazione sino all’effettivo rilascio. Si era costituita la sola moglie, deducendo di occupare legittimamente l’immobile in forza di provvedimento di assegnazione pronunciato in sede di separazione, risalente al 1992 e trascritto nel 1996.
Il Tribunale nel 2016 aveva rigettato la domanda di rilascio della casa, ma aveva condannato la Signora a versare all’acquirente un’indennità di occupazione, da determinarsi in separata sede, sino al rilascio. Impugnata detta sentenza, la Corte d’Appello aveva confermato la decisione, ribadendo che il provvedimento di assegnazione costituisce un diritto personale di godimento che l’assegnatario può opporre ai terzi nei limiti in cui sussistono le esigenze di tutela dei figli conviventi (che nel caso in esame, al momento dell’emissione della sentenza di secondo grado, avevano trentasette, trentanove e quarantun anni) e che il terzo acquirente, il quale è legittimato ad ottenere la condanna al pagamento dell’indennità di occupazione, può altresì chiedere che venga accertata la permanenza o meno delle condizioni che giustificano l’eccezionale diritto (personale) di godimento in favore del coniuge assegnatario.
La moglie ha impugnato anche detta pronuncia avanti la Cassazione, la quale ha accolto parzialmente il ricorso, esclusivamente in relazione alla data di corresponsione dell’indennità di occupazione, rinviando alla Corte d’Appello di Roma per le opportune relative decisioni in merito.
La Corte ha invece respinto il ricorso sulle altre censure sollevate dalla donna ed, in particolare, in relazione al diritto del terzo acquirente di chiedere l’accertamento della sussistenza delle condizioni per l’assegnazione.
Sul punto la Cassazione ha innanzitutto chiarito che l’assegnazione è un diritto personale di godimento, non già reale, ed ha successivamente chiarito che – fermo restando che il diritto all’assegnazione della casa coniugale spetta solo nell’interesse dei figli minori o comunque non autosufficienti economicamente – il terzo acquirente è legittimato a proporre l’azione ordinaria di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo (quindi, evidentemente, non solo dinanzi al giudice del divorzio), oltre che la condanna dell’occupante al pagamento di un’indennità di occupazione illegittima.
La Suprema Corte ha quindi respinto il ricorso su tale punto, confermando la sentenza d’appello impugnata.
Cassazione Civile, 24.01.2018, n. 1744
Cassazione Civile, 24-01-2018, n. 1744