Il comodato che ha ad oggetto un’abitazione destinata a casa familiare del comodatario costituisce un contratto il cui termine finale è desumibile dall’uso per il quale l’immobile è stato consegnato; pertanto il contratto dura fino a quando permangono le esigenze abitative della famiglia del comodatario.
Detto principio è stato espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza qui sotto allegata.
Il caso esaminato è iniziato nel 2004, quando una donna, in qualità di usufruttuaria, aveva chiesto il rilascio di un immobile di cui aveva donato la nuda proprietà al figlio e che era detenuto e che – a suo dire – era illegittimamente detenuto dalla nuora. Quest’ultima, costituitasi in giudizio in proprio e nella qualità di genitore dei suoi due figli all’epoca minorenni, aveva tra l’altro contestato la necessità di procedere ad una integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio della signora, nonché suo marito, in virtù di una scrittura privata che l’uomo aveva sottoscritto insieme ai suoi genitori, nella quale era specificato che – anche se la donazione riguardava la nuda proprietà dell’immobile – il diritto di usufrutto che i donanti si erano riservati era soltanto formale, ed aveva rilevato che in un atto di ricognizione il marito, nudo proprietario, aveva dichiarato di aver occupato l’immobile ad uso abitazione familiare fin dal 1989, anno in cui si era sposato.
La ricorrente, pur riconoscendo l’esistenza del comodato concesso al figlio in vista del matrimonio, aveva a ciò replicato precisando – da un lato – che lo stesso comodato era senza determinazione di durata e, quindi, con cessazione a richiesta del comodante e – dall’altro – che, comunque, la qualità di comodatario era ravvisabile esclusivamente in capo al figlio il quale, in quel momento, si trovava ricoverato in stato semivegetativo presso una apposita struttura ospedaliera in seguito ad un ictus e non era stato riammesso nell’immobile dalla di lui moglie per motivi di sicurezza psico – fisica legati alle crisi epilettiche da cui era affetto il figlio maggiore della coppia; ed era proprio al fine di destinare la casa ad uso del figlio, bisognoso di assistenza continua, che ne aveva chiesto il rilascio da parte della nuora e dei nipoti.
Il Tribunale di Salerno, nel 2007, aveva rigettato la domanda della donna, ritenendo non contestato che l’appartamento fosse stato concesso in comodato al figlio dai genitori, affinché questi lo destinasse a casa familiare, così che il comodato era a tempo indeterminato, e non era venuto meno in seguito al trasferimento altrove, per motivi di salute, di uno dei coniugi: il Giudice, in sostanza, richiamando un precedente delle Sezioni Unite, aveva affermato che il contratto di comodato poteva cessare soltanto con il venir meno dell’utilizzazione del bene da parte della famiglia o col sopraggiungere di un bisogno imprevisto e urgente del comodante e non invece del comodatario.
La donna aveva dunque proposto appello, censurando sia l’attribuzione erronea della qualità di comodataria alla nuora, sia l’erroneo disconoscimento del sopravvenuto bisogno della comodante, che era stata accolta nel 2015 dalla Corte d’Appello.
Pertanto, la nuora aveva proposto ricorso per Cassazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui non aveva esteso il rapporto di comodato ai familiari conviventi con il comodatario e in quella in cui non aveva rilevato la conservazione del vincolo di destinazione familiare anche nell’ipotesi di separazione di fatto.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il gravame, ribadendo il principio, già consolidato in giurisprudenza, secondo il quale il comodato che ha ad oggetto un’abitazione destinata a casa familiare del comodatario costituisce un contratto il cui termine finale è desumibile dall’uso per il quale l’immobile è stato consegnato; pertanto, il contratto dura fino a quando permangono le esigenze abitative della famiglia del comodatario.
Nel caso di specie – ad avviso della Corte – non si sarebbe verificato alcun evento idoneo a comportare la cessazione del comodato ed, altresì, la Corte d’Appello avrebbe violato i principi di devoluzione e dell’onere della prova, ritenendo erroneamente che la moglie del comodatario non avrebbe assolto l’onere probatorio sulla destinazione dell’immobile alle esigenze della famiglia, circostanza sulla quale i giudici di appello non si sarebbero dovuti pronunciare.
Il ricorso è stato pertanto accolto.
Cassazione Civile, 15.11.2017, n. 26954
Cassazione Civile, 15-11-2017, n. 26954