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Compravendita di terreno: è nulla senza certificato di destinazione urbanistica

È viziata da nullità assoluta (senza possibilità di sanare il vizio) l’atto di compravendita di terreni privi del certificato di destinazione urbanistica ovvero di edifici privi della indicazione degli estremi della licenza o concessione ad edificare; pertanto chiunque vi abbia interesse è legittimato ad impugnare latto di trasferimento immobiliare.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23541 del 2017.

Nel caso di specie una donna aveva convenuto in giudizio gli eredi del suo debitore per ottenere la dichiarazione di nullità del contratto di compravendita con cui il defunto insolvente e sua moglie avevano trasferito al proprio figlio un terreno senza indicare che il fondo alienato ricomprendeva anche un immobile destinato ad abitazione ed edificato in base ad una concessione edilizia del 1986.

La domanda della donna era stata rigettata in primo grado dal Tribunale poiché era stata ritenuta priva di interesse ad agire; anche in secondo grado aveva confermato detto rigetto, pur se con diversa motivazione: la Corte d’Appello, infatti, aveva riconosciuto un interesse della donna a far dichiarare la nullità della compravendita, ma aveva ritenuto che ella non fosse legittimata a far valere il dedotto profilo di nullità, consistente nella mancata menzione nel contratto del fabbricato esistente sul terreno trasferito e della concessione edilizia in forza della quale il medesimo era stato costruito, sull’assunto che si trattasse di nullità relativa e, come tale, azionabile solo dalle parti contraenti.

La donna è pertanto ricorsa in Cassazione, la quale ha ritenuto fondate le doglianze della ricorrente.

In particolare, la Corte ha precisato che “… deve riconoscersi carattere assoluto (e, quindi, rilevabilità d’ufficio e deducibilità da chiunque vi abbia interesse), alla nullità di ogni atto di trasferimento senza l’allegazione, per i terreni, del certificato di destinazione urbanistica, e, per gli edifici, senza l’indicazione degli estremi della licenza o concessione ad “aedificandum” (rilasciata eventualmente in sanatoria) ovvero, in mancanza, senza l’allegazione della domanda di sanatoria corredata dalla prova dell’avvenuto pagamento delle prime due rate dell’oblazione edilizia”. Tale affermazione è stata motivata sull’assunto che il regime normativo in esame (legge n. 47 del 1985), mirando a reprimere ed a scoraggiare gli abusi edilizi, non dà alcun rilievo allo stato di buona o mala fede dell’acquirente e, pertanto, chiunque vi abbia interesse può impugnare l’atto di compravendita.

Nè in senso contrario – prosegue la Corte – può addursi la possibilità, prevista dalla stessa normativa, di una successiva conferma degli atti viziati mediante la redazione, anche ad opera di una sola delle parti, di altro atto avente la stessa forma e contenente la menzione omessa o l’allegazione della dichiarazione o documentazione mancanti nel primo atto, poiché tale possibilità non integra una sanatoria in senso tecnico – giuridico, ma un semplice rimedio convalidante, consentito in dipendenza di carenze formali della precedente stipulazione e non in presenza dell’insussistenza, all’epoca di essa, dei requisiti sostanziali per la commerciabilità del bene.

Cassazione Civile, 09.10.2017, n. 23541

Cassazione Civile, 09-10-2017, n. 23541