In tema di concordato preventivo, rientrano tra gli atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell’ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 173 l. fall., i fatti taciuti nella loro materialità ovvero esposti in maniera non adeguata e compiuta, aventi valenza anche solo potenzialmente decettiva nei confronti dei creditori, a prescindere dal concreto pregiudizio loro arrecato.
Lo ha recentemente statuito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24548 del 10 ottobre decidendo il ricorso proposto da una società fallita in seguito alla revoca del concordato preventivo disposto.
Questi nello specifico i fatti di causa.
La predetta società aveva presentato reclamo ex art. 18 legge fall. nei confronti della sentenza con cui il Tribunale, revocando il decreto di apertura del concordato preventivo ai sensi dell’art. 173 legge fall., ne aveva dichiarato il fallimento; la Corte di Appello aveva respinto detto reclamo, evidenziando che l’effettuazione del pagamento di debiti scaduti senza l’autorizzazione del giudice delegato comporta la revoca del concordato ex art. 173 legge fall..
Proposto ricorso per cassazione, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza rilevando che non ogni pagamento di debito sorto prima dell’apertura della procedura comporta, ove eseguito in difetto di autorizzazione, la revoca dell’ammissione alla procedura di concordato, ma solo quelli di cui venga accertata la «natura fraudolenta» del fatto pagamento.
In esito al giudizio di rinvio, la Corte di Appello aveva annullato il provvedimento di revoca del concordato preventivo e revocato la dichiarazione di fallimento, disponendo la rimessione degli atti al Tribunale.
Il fallimento della società ha così proposto ricorso avanti la Cassazione, lamentando – per quanto rileva in questa sede – come la Corte d’Appello non avesse considerato la mancata informazione circa la pendenza di plurimi procedimenti giudiziari quale atto posto in essere in frode ai creditori ex art. 173 legge fall..
La Corte ha ritenuto tale motivo fondato.
Al riguardo, ripercorrendo precedenti giurisprudenziali della medesima Corte, la Cassazione ha precisato che integrano tratto costitutivo della nozione di «atto in frode» due aspetti: a) deve trattarsi di una circostanza la cui esistenza viene taciuta nella sua materialità ovvero viene esposta in modo non adeguato e compiuto, come successivamente venuta alla luce in esito alle verifiche ed analisi compiute dal commissario giudiziale; b) tale deficit informativo deve essere tale da risultare di per sé idoneo ad alterare la cognizione informativa dei creditori e, quindi, a incidere in modo significativo sulla valutazione compiuta dagli stessi.
La previsione dell’art. 173 legge fall. – ha proseguito la Corte – è finalizzata a far sì che i creditori siano puntualmente informati delle caratteristiche rilevanti di cui alla proposta di concordato, così da essere messi in grado esprimere un giudizio – di consenso oppure di dissenso – correttamente informato.
Nel caso di specie, anche in considerazione del valore delle cause pendenti, si è ritenuto che la relativa informazione sarebbe stata senz’altro in grado di concorrere a orientare (ovvero, se taciuta, a disorientare) la formazione del giudizio dei creditori.
Conseguentemente, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello impugnata.
Cassazione Civile, 10.10.2019, n. 25458
Cassazione Civile, 10-10-2019, n. 25458