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Confermato il contributo al figlio laureato, ma in misura ridotta

Va ridotto, ma non del tutto eliminato, il contributo al mantenimento per il figlio laureato, trentenne, affetto da sindrome ansioso depressiva, con difficoltà a reperire un’occupazione lavorativa.

Nell’affermare tale principio, la Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto da una madre dopo che, per quanto qui rileva: a) in primo grado il Tribunale aveva revocato l’assegno di 700 euro mensili imposto al padre in favore del figlio maggiorenne, contestualmente revocando l’assegnazione della casa familiare alla madre; b) in sede di impugnazione la Corte d’Appello aveva riformato il provvedimento, disponendo un contributo mensile al mantenimento del figlio in misura pari a 350 euro e l’assegnazione della casa alla ex moglie.

Quest’ultima, dunque, si è rivolta alla Suprema Corte lamentando tra i vari motivi: a) per un verso, la contraddittorietà della motivazione circa l’arricchimento delle capacità professionali del figlio dopo il completamento del percorso universitario ed, al contempo, il rilievo della sua condizione di disagio personale (sindrome ansioso depressiva); b) per altro verso, l’omesso esame della richiesta avanzata nei confronti del padre di contribuire al 50% alle spese necessarie per il figlio, del peggioramento delle condizioni di salute della ricorrente e della richiesta istruttoria di procedere ad accertamenti in relazione alla situazione reddituale dell’ex marito tramite la Guardia di Finanza dopo la ripresa del lavoro da parte di costui.

Con l’ordinanza n. 30491 del 21 novembre 2019 sotto allegata la Cassazione ha preliminarmente ribadito il proprio granitico orientamento in materia di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne, secondo cui “la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa, nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell’avente diritto“.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha rilevato come il Giudice d’appello – non eliminando ma riducendo il contributo al mantenimento per il figlio – avesse fatto corretta applicazione di tale principio, tenendo in considerazione l’intervenuto conseguimento di una laurea (in archeologia nel 2013), la conseguente maggiore possibilità di procurarsi un lavoro retribuito, le problematiche di salute sofferte (sindrome ansioso depressiva) e l’età raggiunta (oltre trent’anni).

Conseguentemente la Cassazione ha ritenuto infondate le doglianze della donna e confermato la sentenza della Corte d’Appello.

Cassazione Civile, 21.11.2019, n. 30491

Cassazione Civile, 21-11-2019, n. 30491