I figli dell’ultraottantenne sottoposto ad amministrazione di sostegno non sono legittimati a impugnare il matrimonio tra questi e la sua badante di 40 anni più giovane, a meno che non vi sia stato un apposito provvedimento del giudice tutelare che abbia vietato le nozze e se l’invalidazione risponde agli interessi dell’amministrato.
L’annullamento era stato richiesto per incapacità di intendere e di volere dai figli dell’uomo, ultraottantenne, invalido di guerra e invalido civile al 100%, con necessita di assistenza globale permanente e già affetto da ictus cerebrale e assistito da un amministratore di sostegno. I figli, riferendo di aver appreso soltanto nel 2007 del matrimonio tra il loro padre e l’allora badante, di quasi quarant’anni più giovane, avevano verificato la dilapidazione del suo patrimonio mediante donazioni dissimulate in forma di compravendite.
La Suprema Corte, tuttavia, ha cassato la sentenza della Corte d’Appello che aveva ritenuto i figli legittimati ad impugnare il matrimonio applicando analogicamente l’art. 119 c.c., che, in caso di interdizione per infermità di mente, consente l’impugnazione a “tutti coloro che abbiano un interesse legittimo“; ciò poiché l’interdizione e l’amministrazione di sostegno sono misure di protezione distinte, laddove quest’ultima ha come obiettivo quello di sacrificare nella misura minore possibile la capacità di agire del soggetto.
La Cassazione afferma che nel migliore interesse dell’amministrato il giudice tutelare, in casi particolarmente gravi, potrebbe anche disporre il divieto delle nozze.
Cassazione Civile, 11.05.2017, n. 11536
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