Ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale, l’affitto di azienda comporta, di regola, la cessazione della qualità di imprenditore, salvo l’accertamento in fatto che l’attività d’impresa sia, invece, proseguita in concreto, non essendo sufficiente affermare la compatibilità tra affitto di azienda e prosecuzione dell’impresa, la quale va invece positivamente accertata dal giudice di merito.
E’ questo il principio di diritto che ha chiarito la Corte di Cassazione in tema di fallimento e affitto d’azienda.
Nella specie, la Corte di Appello di Ancona aveva respinto il reclamo da parte di una associazione sindacale tra artigiani avverso la sentenza dichiarativa di fallimento perché l’attività commerciale da essa svolta era di fatto continuata con la stipula del contratto di affitto d’azienda.
Detta associazione aveva, quindi, proposto ricorso per Cassazione denunziando l’erronea valutazione da parte dei giudici di appello in merito alla questione e lamentando la violazione dell’art. 1 l. fall. che richiede la qualità di imprenditore commerciale quale requisito soggettivo del fallimento.
La Suprema Corte, in via preliminare, ha precisato che un’associazione ben può essere assoggettata a fallimento in caso di insolvenza, dovendo riconoscere la qualità di imprenditore commerciale a tutte quelle attività in cui sussista una obiettiva economicità, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi.
La Corte, tuttavia, ha ritenuto che, qualora l’azienda venga concessa in affitto dall’associazione, la circostanza non sia sufficiente per dedurne la compatibilità con la prosecuzione dell’impresa, che va pertanto accertata positivamente.
In conclusione, il Supremo Collegio ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte di Appello di Ancona, la quale dovrà provvedere ad una nuova valutazione dei fatti.
Cassazione Civile, 16.03.2020, n. 7311
Cassazione Civile, 16.03.2020, n. 7311