Il diritto di abitare nella casa familiare conseguente al provvedimento di assegnazione disposto in sede di separazione o divorzio nell’ambito del giudizio di divisione dell’immobile in comproprietà, non influisce sulla stima del valore di mercato del bene e sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge.
È quanto stabilito dalla Suprema Corte con una recentissima sentenza, qui sotto allegata, con la quale è stato accolto il ricorso di un marito che, in sede di divisione della casa familiare in comproprietà con la moglie, si era visto assegnare, sia in primo che in secondo grado, un conguaglio per la propria quota di proprietà inferiore rispetto al reale valore del bene, in ragione del vincolo derivante dall’assegnazione dell’immobile alla donna.
L’uomo, lamentando la riduzione di valore applicata in ragione del diritto di assegnazione della casa familiare, si è rivolto alla Suprema Corte la quale ha ritenuto fondate le censure del marito dando seguito ad un orientamento giurisprudenziale oramai consolidato in materia che tiene luogo dell’interesse sotteso all’assegnazione della casa familiare del tutto estraneo ai principi che disciplinano la stima di un bene.
Invero, la Corte ha evidenziato che il diritto di vivere nella casa familiare riconosciuto al genitore collocatario dei figli è attribuito nell’esclusivo interesse di questi ultimi e non del coniuge collocatario; pertanto «il godimento del bene non può essere considerato in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi al fine di determinare il valore di mercato del bene qualora lo stesso venga attribuito al genitore titolare del relativo diritto di abitazione”.
Nel caso di specie, dunque, secondo la Cassazione il minor valore del bene stimato dalla Corte d’Appello e la conseguente incongrua determinazione del conguaglio dovuto al ricorrente avrebbero realizzato una indebita locupletazione a favore della moglie, tale da giustificare l’accoglimento del ricorso proposto dal marito.
Cassazione Civile, 20.12.2018, n. 33069
Cassazione Civile, 20-12-2018, n. 33069