La risoluzione consensuale del contratto per mutuo dissenso realizza per concorde volontà delle parti la ritrattazione bilaterale del negozio, dando vita ad un nuovo contratto – di natura solutoria e liberatoria, con contenuto uguale e contrario a quello del contratto originario – e paralizzando l’ulteriore svolgimento del rapporto obbligatorio, senza incidere sulle prestazioni già eseguite; ne consegue che, in difetto di allegazione e prova di differenti accordi intervenuti tra le parti, il negozio solutorio esclude comunque la ripetibilità delle prestazioni già eseguite.
Lo ha precisato la Cassazione in una recente decisione resa in materia di leasing immobiliare, allegata in calce (Cassazione Civile, 31.10.2019, n. 27999).
In particolare la pronuncia trae origine da un contratto di leasing immobiliare concluso tra una ditta individuale ed una società ed assistito da garanzie personali e reali (pegno di titoli). A seguito del mancato pagamento dei canoni da parte dell’utilizzatrice, le parti avevano sottoscritto un accordo volto a disciplinare la futura prosecuzione del rapporto; successivamente e con l’assenso della concedente, la ditta utilizzatrice aveva restituito l’immobile e cessato il pagamento dei canoni.
La ditta individuale aveva poi convenuto in giudizio la società cedente per formalizzare la predetta risoluzione, chiedendo che venisse accertata e dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, con condanna di quest’ultima alla restituzione di tutti i canoni versati ed al risarcimento del danno a norma dell’art. 1526 c.c., formulando anche richiesta di revoca del pegno in via subordinata.
La concedente aveva a propria volta chiesto in via rconvenzionale la declaratoria di risoluzione del contratto per inadempimento colpevole dell’utilizzatrice e la condanna di quest’ultima al rilascio dell’immobile.
Il Tribunale aveva accertato lo scioglimento del contratto per mutuo consenso, ma al contempo aveva rigettato la domanda di condanna alla restituzione dei canoni, ritenendo che l’art. 1526 c.c. fosse applicabile alla sola ipotesi di risoluzione per inadempimento; aveva invece accolto la domanda proposta in via subordinata, disponendo lo svincolo del pegno costituito in favore della concedente.
Detta pronuncia era stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano, che – ancorché avesse ritenuto applicabile l’art. 1526 c.c. all’ipotesi di risoluzione consensuale – ne aveva escluso l’operatività nel caso esaminato.
La ditta individuale aveva dunque proposto ricorso per cassazione, lamentando in buona sostanza: a) l’erronea esclusone di applicabilità dell’art. 1526 c.c. al caso concreto; b) l’operatività in via subordinata dell’art. 1458 c.c. in caso di risoluzione per inadempimento; c) l’omessa valutazione degli “indebiti vantaggi” conseguiti dalla concedente a seguito del mutuo scioglimento del contratto stante la fornita prova del versamento dei canoni alla società concedente per tutta la durata del leasing; d) l’errata distribuzione tra le parti dell’onere della prova.
La Corte ha ritenuto infondati i motivi dedotti dalla ricorrente.
Preliminare ha chiarito che la fattispecie negoziale sottesa era quella di leasing c.d. “traslativo”, avente la finalità di consentire un trasferimento differito del bene mediante una rateizzazione del prezzo.
Tanto premesso, la Corte ha proseguito precisando che la risoluzione del leasing traslativo non impone di per sè l’integrale restituzione di tutti i canoni corrisposti dall’utilizzatore ai sensi dell’art. 1526 c.c.: “In tema di scioglimento per mutuo consenso, ai sensi dell’art. 1372 c.c., comma 1, del contratto di leasing traslativo, non trova applicazione – neppure analogica – la disposizione dell’art. 1526 c.c. che prevede il ripristino delle originarie posizioni delle parti contraenti attraverso la restituzione all’utilizzatore delle rate versate ed il riconoscimento al concedente del diritto all’equo compenso per l’uso del bene, difettando nel caso di accordo solutorio l’indefettibile presupposto legale dell’inadempimento imputabile a colpa dell’utilizzatore che determina la risoluzione del contratto, atteso che i contraenti – nell’esercizio della loro autonomia negoziale – hanno valutato confacente ai propri interessi non dare ulteriore seguito alla esecuzione del rapporto obbligatorio, ritenendosi soddisfatti dalla parziale attuazione del contratto. In tal caso il contratto solutorio puro -che non contenga ulteriori disposizioni concernenti il rapporto estinto- produce quale unico effetto quello della liberazione delle parti contraenti dall’obbligo di eseguire le ulteriori prestazioni ancora dovute in virtù del precedente contratto”.
La Cassazione ha ritenuto parimenti priva di fondamento la censura inerente la mancata applicazione dell’art. 1458 c.c. e, dunque, l’inapplicabilità degli effetti restitutori previsti dalla norma in caso di risoluzione, poiché la stessa opera solo rispetto ai contratti ad esecuzione continuata o periodica, nel novero dei quali – secondo la Corte e la prevalente giurisprudenza di legittimità – non sono ascrivibili i contratti di leasing traslativo.
La Corte ha quindi precisato che – salvo diversa specifica pattuizione negoziale e a differenza di quanto previsto per legge in caso di risoluzione per inadempimento – lo scioglimento del contratto per mutuo dissenso non opera retroattivamente.
Il negozio solutorio si sostanzia, infatti, in un nuovo contratto che, considerando esaurita la causa funzionale propria di quello precedente, paralizza l’ulteriore svolgimento del rapporto obbligatorio senza però incidere sulle prestazioni già eseguite. Vengono quindi regolati solo i nuovi effetti che si producono tra gli originari contraenti, restando invariata la precedente regolamentazione delle prestazioni già eseguite nella vigenza del contratto risolto.
Il solo effetto conseguente alla risoluzione è, quindi, quello di far cessare i vincoli obbligatori che ancora permangono come retaggio del precedente rapporto, dovendosi ritenere che le parti abbiano reputato satisfattivo l’assetto conseguente alla parziale attuazione realizzata fino a quel momento.
E’ quindi da escludere – secondo la Corte – ogni ulteriore conseguenza, tanto più in termini di ripristino dello “status quo ante“, proprio per effetto della valutazione compiuta dalle parti al momento di caducazione dell’accordo; il rapporto pregresso viene ad estinguersi consensualmente con efficacia “ex nunc“, non operando – in assenza di una diversa esplicita volontà delle parti – la disciplina legale degli artt. 1526 e 1458 c.c.
Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, la Suprema Corte ha rilevato come entrambi i Giudici di merito avessero accertato che non era intervenuto alcun accordo modificativo del contratto di leasing, volto a disporre la prosecuzione del rapporto; di talchè il contratto originario doveva intendersi risolto consensualmente a fronte della cessazione del pagamento dei canoni seguita dalla restituzione dell’immobile.
Il ricorso della ditta individuale è stato pertanto respinto.
Cassazione Civile, 31.10.2019, n. 27999
Cassazione Civile, 31-10-2019, n. 27999