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Preliminare di vendita di immobile cointestato: nullo senza la firma di entrambi i coniugi

È nullo il contratto preliminare di vendita di un immobile di proprietà comune dei coniugi, qualora esso presenti in intestazione entrambi i nominativi dei coniugi ma rechi soltanto la sottoscrizione di uno dei due.

Tale fattispecie è stata esaminata dalla Corte di Cassazione a seguito del ricorso di un uomo che aveva citato in giudizio avanti il Tribunale una coppia di coniugi, lamentando che questi ultimi si erano impegnati ad alienargli un loro immobile mediante la conclusione di un contratto preliminare di vendita e si erano resi inadempienti rispetto all’obbligazione di sottoscrizione del contratto definitivo e chiedendo, quindi, che ai sensi dell’art. 2932 c.c. il giudice emettesse una pronuncia sostitutiva del contratto che avrebbe dovuto essere stipulato tra le parti.

Il contratto preliminare, in particolare, recava i nominativi di entrambi i coniugi come parti promissarie venditrici, ma la firma del solo marito e non della moglie, che era stata peraltro dichiarata interdetta: a parere dell’attore, quindi, la firma del marito sarebbe stata sufficiente per impegnare sia lo stesso che la moglie, stante la rappresentanza legale del coniuge; mentre per i coniugi il contratto sarebbe stato annullabile ai sensi dell’art. 184 c.c., secondo il quale gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o mobili registrati.

Il Tribunale aveva accolto in primo grado la domanda dell’attore, affermando la tardività dell’eccezione di annullabilità del contratto sollevata dai coniugi (che sarebbe stata formulata oltre il termine annuale di legge), mentre la Corte d’Appello, in secondo grado, aveva riformato detta sentenza, rigettando la domanda del promissario acquirente.

Presentato pertanto ricorso per cassazione da parte di quest’ultimo, la Suprema Corte ha rilevato come la ratio della norma di cui all’art. 184 c.c. è quella di tutelare un coniuge dagli atti dispositivi del bene in comunione effettuati dall’altro nel caso in cui ne sia inconsapevole.

Alla luce di tale considerazione, secondo la Cassazione, «La Corte d’Appello ha correttamente escluso l’applicabilità dell’art. 184 c.c., il quale (nel predisporre la specifica tutela del coniuge dissenziente) presuppone l’avvenuta effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi; situazione, questa, non certamente equiparabile a quella di specie, in cui la mancata prestazione del consenso da parte di uno dei coniugi, espressamente indicato nell’atto quale contraente, non ha mai consentito il sorgere di una valida obbligazione neppure a carico dell’altro, attesa la nullità del contratto per mancanza di tale requisito essenziale».

Poiché, nel caso in esame, non si era in presenza di un coniuge pretermesso dal contratto, ma incluso come parte in esso, il contratto preliminare non poteva ritenersi quindi annullabile ex art. 184 c.c., ma nullo.

La Corte ha pertanto rigettato il ricorso proposto dal promissario acquirente.

Cassazione Civile, 06.04.2018, n. 8525

Cassazione Civile, 06-04-2018, n. 8525