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Risarcimento al coniuge depresso solo se prova il nesso con l’infedeltà coniugale

La natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., sempre che la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all’onore o alla dignità personale.

E’ questo il principio di diritto che ha richiamato una recente sentenza della Corte di Cassazione in tema di domanda di risarcimento del danno da illecito endofamiliare in un giudizio di separazione tra due coniugi.

Nella specie, la Corte di appello di Salerno, in parziale conferma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato la separazione personale dei coniugi con addebito alla moglie e respinto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale per mancata prova del nesso causale tra la condotta infedele della moglie e la depressione sofferta dal marito, quale evento dannoso, dovendo quest’ultima essere riferita piuttosto alla separazione in sé.

La Suprema Corte, adita con ricorso dal marito, ha affermato che la censura era diretta a sollecitare una impropria rivisitazione dell’apprezzamento di fatto operato dai giudici di merito che avevano correttamente applicato il principio suddetto, oramai acquisito dalla giurisprudenza di legittimità.

Per questi motivi, la Cassazione ha respinto il ricorso promosso dal marito e confermato il rigetto della domanda di risarcitoria fondata sul tradimento della moglie.

Cassazione Civile, 19.11.2020, n. 26383

Cassazione Civile, 19.11.2020, n. 26383