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Travolto il mantenimento se il matrimonio è nullo

La delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, divenuta così efficace anche per lo Stato italiano, travolge l’assegno di mantenimento disposto in sede di separazione

È il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la recentissima ordinanza qui allegata.

Nella fattispecie decisa, nel giudizio di separazione personale tra due coniugi era stato disposto che il marito dovesse versare in favore della moglie un assegno mensile di mantenimento di euro 250,00; successivamente il marito aveva chiesto che venisse revocato il proprio obbligo al versamento di detto assegno poiché, dopo il passaggio in giudicato sentenza di separazione, la Corte d’Appello competente aveva delibato la decisione ecclesiastica che dichiarava la nullità del matrimonio: il Tribunale aveva accolto la domanda dell’uomo, ma, a seguito del reclamo della moglie, la Corte d’Appello aveva accolto il gravame, affermando che il sopravvenire della dichiarazione di nullità del matrimonio non avrebbe potuto determinare il venir meno del diritto alla percezione dell’assegno di mantenimento da parte della donna.

L’uomo ha dunque presentato ricorso avanti la Cassazione, lamentando come la Corte d’Appello avesse erroneamente richiamato una precedente pronuncia di legittimità che, però, faceva riferimento ad una precedente sentenza di divorzio, non già di separazione come nel caso in esame.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso dell’uomo fondato.

In particolare i Giudici hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse errato nell’equiparare gli effetti della sopravvenuta delibazione (ovvero l’intervenuta efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario nello Stato Italiano) sul giudicato riguardante le statuizione economiche adottate nell’ambito di un giudizio di divorzio a quello afferente le statuizioni economiche nel provvedimento di separazione.

Infatti – ha sottolineato la Cassazione – l’assegno divorzile è sostanzialmente diverso dal contributo dovuto al coniuge separato, sia perché i due esborsi sono fondati su presupposti del tutto distinti, sia in quanto sono disciplinati in maniera autonoma ed in termini del tutto differenti: mentre la separazione di coniugi non elide (anzi, presuppone) la permanenza del vincolo coniugale, sicché il dovere di assistenza materiale nel quale si attualizza l’assegno di mantenimento conserva la sua efficacia e la sua pienezza, con il divorzio il rapporto si estingue definitivamente, sia sul piano dello status personale dei coniugi che nei loro rapporti giuridico-patrimoniali (fermo restando, ovviamente, in presenza dei figli, l’esercizio della responsabilità genitoriale da parte di entrambi gli ex coniugi).

Ne consegue che soltanto il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio fa venir meno il vincolo matrimoniale e lo stato di separati, che costituisce il presupposto dell’obbligo di mantenimento della moglie e, contestualmente, cessa per essere eventualmente sostituito dall’assegno divorzile.

Subito dopo la Corte ha osservato che «è innegabile che il vincolo matrimoniale venga meno anche – ed eventualmente ancor prima della definitiva decisione concernente il divorzio, se rispetto ad essa anteriore – allorquando sia resa efficace nello Stato italiano la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario» e pertanto «una volta dichiarata l’invalidità originaria del vincolo matrimoniale, viene meno il presupposto per l’assegno di mantenimento».

La Cassazione ha dunque rigettato il ricorso dell’uomo.

Cassazione Civile, 11.05.2018, n. 11553

Cassazione Civile, 11-05-2018, n. 11553